Il 23 ottobre 2025 l’Istituto Liberale ha organizzato l’evento La lezione liberale e cristiana di Wilhelm Röpke, in collaborazione con Students For Liberty Svizzera e LPU (Law and Politics in USI). La serata ha visto come protagonista Flavio Felice, in una presentazione sulle idee di uno studioso a cui ha dedicato molti scritti e di cui ha curato l’edizione italiane di tante opere: l’economista tedesco Wilhelm Röpke. Oppositore del nazionalsocialismo, questo studioso – che si trasferì in Svizzera e prese la cittadinanza – è considerato uno dei padri dell’economia sociale di mercato. Persuaso che una società libera debba poggiare sulla logica della domanda e dell’offerta, Röpke ha sempre sottolineato l’importanza di una cornice etica e culturale alla base dei processi del mercato stesso. Non secondaria era inoltre l’interpretazione data alla crisi sociale del suo tempo, che lo ha spinto a riflettere sulle possibili soluzioni istituzionali e ad elaborare la nozione di «terza via», alternativa al collettivismo e anche a un liberalismo di stampo materialista.
L’incontro si apre con l’introduzione di Carlo Lottieri, presidente della sezione italofona dell’Istituto Liberale, che presenta Wilhelm Röpke come una figura centrale e insieme atipica del pensiero liberale del Novecento. Röpke, economista e sociologo tedesco costretto all’esilio per la sua opposizione al nazismo, rappresenta un caso peculiare di intellettuale che seppe coniugare libertà economica e sensibilità etica. La sua influenza si estese ben oltre la teoria: le sue opere furono lette e apprezzate da Ludwig Erhard, l’artefice della ricostruzione economica tedesca dopo la Seconda guerra mondiale, e contribuirono a fondare quella che sarà poi chiamata “economia sociale di mercato”. Esule prima a Istanbul e poi stabilitosi definitivamente a Ginevra, Röpke trovò nella realtà svizzera un modello coerente con la sua idea di società: basata sul piccolo, sul decentramento, sul controllo diretto e sull’autonomia delle comunità locali. Lottieri sottolinea come il suo pensiero, pur contenendo elementi discutibili o controversi, costituisca una delle più importanti riflessioni sul rapporto tra economia, morale e libertà politica. È quindi un autore che non solo ha influenzato la storia del liberalismo, ma che offre ancora oggi strumenti per comprendere il rapporto fra mercato e società civile, fra individuo e istituzioni.
L’intervento principale spetta a Flavio Felice, professore di storia delle dottrine politiche all’Università del Molise e presidente dell’Istituto Tocqueville-Acton: Röpke visse in prima persona le tragedie del XX secolo: la Prima Guerra Mondiale, l’ascesa del nazismo e il suo esilio personale. Socialista da giovane, si convertì presto al liberalismo classico, convinto che le radici della guerra e del totalitarismo risiedessero nel collettivismo e nel nazionalismo economico. La sua formazione multidisciplinare – a cavallo tra economia, diritto e sociologia – rifletteva la tradizione della scuola di Friburgo. Dopo l’espulsione dall’università nel 1933, insegnò in Turchia, dove maturò il concetto di “interventismo conforme”, ossia un tipo di intervento statale che sostiene il mercato invece di distorcerlo. Dal 1937 si stabilì a Ginevra, dove incontrò figure come Mises, Kelsen ed Einaudi, con i quali contribuì alla rinascita del pensiero liberale europeo. Le sue opere più celebri – la trilogia composta da La crisi sociale del nostro tempo (1942), Civitas Humana (1944) e L’ordine internazionale (1945) – analizzano la crisi morale e sociale della modernità e propongono un ordine fondato sulla libertà economica, la giustizia e la dignità della persona. Critico del primato della politica e scettico verso ogni forma di potere centralizzato, Röpke difendette una società pluralista e decentrata, fondata sull’autonomia culturale e sull’autogoverno dei cittadini. La sua ultima opera, Al di là dell’offerta e della domanda (1958), riassume la dimensione più spirituale del suo pensiero, insistendo sull’intreccio tra etica, religione e ordine economico.
Oggi, come sottolinea Felice, Röpke è un autore da riscoprire: non per nostalgia, ma perché la sua riflessione offre un metodo e una prospettiva per aggiornare il liberalismo in un’epoca in cui tornano il rischio del centralismo politico, la crisi morale del mercato e la perdita di fiducia nella libertà responsabile. L’interesse di Felice per Röpke nacque non da motivi economici, ma teologici e culturali, in particolare dallo studio della dottrina sociale della Chiesa e dal suo sviluppo con il magistero di Giovanni Paolo II. Negli anni ’90 Felice notò come, con encicliche come Laborem Exercens (1981), Sollicitudo Rei Socialis (1987) e Centesimus Annus (1991), la Chiesa iniziava a considerare le scienze sociali non più come un ambito separato ma come interlocutore privilegiato. Giovanni Paolo II, adottando un metodo fenomenologico, riconosceva l’importanza dell’iniziativa economica privata e del diritto all’impresa come elementi della dignità umana. Nella Centesimus Annus, in particolare, il Papa affermava che l’economia di mercato non è in sé contraria alla morale cristiana, distinguendo però tra “capitalismo” (vulnerabile a forme di sfruttamento) e “libera economia di mercato” (basata su libertà, responsabilità e concorrenza). È proprio qui, spiega Felice, che egli incontra Röpke, il quale già negli anni Quaranta aveva teorizzato una distinzione analoga: quella tra il capitalismo storico e il principio etico dell’economia di mercato. Röpke non difendeva il capitalismo “puro”, ma il sistema concorrenziale regolato da istituzioni giuridiche e morali.
Felice scoprì così, anche grazie all’influenza del teologo americano Michael Novak, l’attualità del pensiero röpkiano e il suo legame con l’idea di “capitalismo democratico”: un sistema tripolare in cui democrazia politica, mercato economico e cultura dell’autogoverno si bilanciano reciprocamente, senza che nessuna sfera prevalga sulle altre. Infatti, Felice colloca Röpke nel contesto della scuola di Friburgo, il movimento ordoliberale sorto nella Germania degli anni Trenta. Pur non appartenendovi pienamente, Röpke ne condivideva i principi fondamentali: la convinzione che la concorrenza sia un bene comune e che pertanto debba essere tutelata costituzionalmente, e l’idea che la libertà economica richieda regole giuridiche e limiti morali. Gli ordoliberali individuavano due “nemici mortali” dell’azione politica e teorica: il fatalismo, che giustifica ogni evento come inevitabile prodotto della storia, e il relativismo, che nega la possibilità di costruire una teoria normativa in economia. In questo quadro, Röpke sviluppò una visione dell’economia di mercato come costruzione artificiale che necessita di una cornice legale e morale per sopravvivere. Il mercato non è un “dato naturale”, ma un artefatto che deve essere difeso dai monopoli, dall’arbitrio politico e dagli stessi imprenditori quando cercano di distruggere la concorrenza. Per Röpke – e per gli ordoliberali – l’obiettivo era creare istituzioni stabili che impedissero la concentrazione del potere, proteggessero la libertà individuale e favorissero un ordine economico concorrenziale. Questi principi saranno alla base della ricostruzione tedesca e dell’“economia sociale di mercato”, anche se Röpke, più che un padre fondatore, ne fu una coscienza critica, preoccupata di mantenerla nei binari liberali e anti-centralisti.



