Il 28 settembre 2021 l’Istituto Liberale ha organizzato un webinar sul tema “Covid-19, libertà e vaccino”, in collaborazione con l’associazione studentesca LPU (Law and Politics in USI), attiva all’Università di Lugano, e con Students for Liberty Svizzera Italiana. Tema della serata, che ha visto protagonisti Alexander Afriat e Roberto Festa, è stato un confronto tra quanti vedono negli obblighi di certificazione contro il Covid-19 o di vaccinazione uno strumento imprescindibile per mantenere l’ordine e la libertà interpersonale, e quanti invece sostengono che la persona e la proprietà del suo corpo siano inviolabili anche nel mezzo di questa emergenza, che i governi hanno sfruttato per ampliare il loro raggio d’azione.
Ha aperto la serata Carlo Lottieri, presidente della sezione italofona dell’Istituto Liberale, che ha innanzitutto ringraziato gli organizzatori e i relatori per avere scelto di ravvivare un dibattito troppo trascurato dall’opinione pubblica. Entrambi gli oratori, come ha spiegato, sono professori in filosofia della scienza e interpretano due visioni contrapposte in merito all’obbligo vaccinale e alla certificazione contro Covid-19.
Il primo relatore è stato Alexander Afriat, professore di filosofia della scienza presso l’Università della Bretagna Occidentale. Ha rappresentato l’opinione secondo cui il vaccino debba essere considerato uno degli strumenti di prevenzione dal Covid-19 e di contrasto dell’epidemia (insieme ad altri), ma che ogni obbligo vaccinale diretto o indiretto sia illegittimo. Il valore imprescindibile dovrebbe rimanere la libertà personale e la proprietà del proprio corpo. Soprattutto, considerando la natura sperimentale del vaccino anti-Covid, e, più in generale, della nostra comprensione necessariamente approssimativa di questa pandemia.
Una delle costanti in tutta la storia della filosofia della scienza moderna è che le nostre teorie scientifiche sono strumenti provvisori e imperfetti per analizzare il mondo. Popper ha messo l’accento sulla falsificabilità di una conoscenza come carattere essenziale del suo status scientifico; va da sé che imporre un trattamento sanitario o provvedimenti politici come standard immutabili a fronte di paradigmi scientifici ancora in via di elaborazione e con scarso consenso in seno alla comunità scientifica è un grave errore epistemico. In particolare, la relazione s’è concentrata su una critica della classificazione epidemiologica del Covid nella famiglia Sars-Cov. In altre parole, tutta la cosiddetta “scienza” in tema di Covid poggia su una genomica che è in larga misura arbitraria: un programma di ricerca miocrobiologico che potrà forse produrre rilevanti risultati in futuro, ma che ora è in grado di dire assai poco in materia macrobiologica (influenze, polmoniti, decessi).
Il secondo relatore è stato Roberto Festa, professore di filosofia della scienza presso l’Università di Trieste. Ha rappresentato l’opinione secondo cui obblighi di immunizzazione contro il Covid-19, dal certificato Covid come applicato oggi in Italia fino alle ipotesi di obbligo vaccinale, sono legittimi e anzi necessari in questo momento di emergenza. Libertà significa anche e soprattutto mettersi in condizione di non danneggiare gli altri e di non minacciare la loro incolumità con le proprie scelte, soprattutto in presenza di un pericolo diffuso e costante come il Covid-19. Ciascuno dovrebbe avere la libertà, in altre parole, di frequentare attività lavorative e la vita di tutti i giorni senza rischiare le conseguenze più negative del contagio.
Per quanto i vaccinati siano in buona misura protetti dal rischio di infezione e resistenti alle conseguenze più gravi della malattia, infatti, questo pericolo rimane una possibilità concreta, specialmente per le categorie più a rischio. Questo pone un problema giuridico alla convivenza tra persone immunizzate e coloro che scelgono consapevolmente di non vaccinarsi benché ne abbiano le possibilità sanitarie. In un’emergenza tale da mettere in difficoltà i sistemi ospedalieri statali, ogni tentativo di comprensione del fenomeno Covid-19 proposto dalla comunità scientifica, così come ogni possibile soluzione, resta l’unico appiglio per la politica e il diritto nella gestione dei legami interpersonali. Sarebbe pertanto un atteggiamento anti-scientifico rifiutare ogni via di prevenzione e risoluzione della pandemia.
Successivamente, il moderatore della serata ha aperto la discussione con il pubblico. Uno degli argomenti risultati dal dibattito e rivolti ai relatori è la pericolosità di estendere il diritto a non correre alcun rischio durante la vita di tutti i giorni, invocata da Roberto Festa. Dati alla mano, per un vaccinato contro il Covid-19 gli esiti peggiori della malattia risultanti dalla presenza in società di soggetti non vaccinati sono più improbabili della possibilità di essere coinvolto in un incidente stradale o vittima di cani e altri animali posseduti da altri individui: rischi che ciascuno di noi considera come parte integrante della quotidianità e non meritevoli di obblighi preventivi. Dunque, negando la legittimità di un obbligo di prevenzione da un virus dalla mortalità statisticamente molto bassa, come tracciare il limite su quali comportamenti potenzialmente dannosi per gli altri possano essere permessi e quali no? In fondo, già gli studiosi romani avevano ritenuto irrilevante sul piano giuridico ogni rischio a bassissima probabilità.
Oltre a ciò, ci si può chiedere quanto la considerazione rischi-benefici di un individuo che sceglie di non vaccinarsi possa essere ritenuto un affare totalmente personale e quanto, invece, debba scontrarsi con rischi e benefici altrui. È innegabile che, in un quadro politico che ha identificato nella vaccinazione l’unica via per uscire dall’emergenza, l’estensione della campagna vaccinale stia permettendo una ripresa delle attività economiche senza sovraccarico per il sistema sanitario pubblico. A parte il fatto che i detrattori dell’immunizzazione si soffermano sui rischi a lungo termine delle soluzioni sperimentali che vengono raccomandate e/o imposte dalle autorità, tra cui i vaccini a mRna, oltre che sugli evidenti effetti avversi che riguardano specifiche categorie (i giovani, in particolare) che corrono ben pochi rischi dal Covid-19, c’è poi da chiedersi se il fatto che i governi abbiano individuato nell’obiettivo (un po’ mitico) dell’immunità di gregge la condizione per uscire dall’emergenza giustifichi l’adozione di un obbligo vaccinale, dato che si tratta di un trattamento sanitario obbligatorio e che in quanto tale viola un principio fondamentale come il diritto alla libertà di cura.