Il 12 febbraio 2021 l’Istituto Liberale ha organizzato un webinar sul tema Il ceto medio sconosciuto e dimenticato, in collaborazione con l’associazione studentesca LPU (Law and Politics in USI), attiva all’università di Lugano, e con Students For Liberty Svizzera Italiana. Tema della serata è stata un’ampia riflessione sulla natura e sul destino del ceto medio nell’età della globalizzazione; in sostanza, sui valori occidentali che hanno condotto al benessere un’ampia fetta di popolazione composta da onesti lavoratori – sia imprenditori, sia dipendenti – orientati alla difesa del patrimonio, della famiglia e del loro modo di vivere. Nel corso della serata, in sostanza ci si è interrogati su quali siano le sfide che il ceto medio deve aspettarsi dai tempi burrascosi che stiamo vivendo.
Ha aperto la serata Paolo Pamini, che assieme al relatore è una delle figure più attive dell’associazione Area Liberale, oltre che membro fondamentale della sezione italofona dell’Istituto Liberale. La presentazione ha portato alla luce gli sforzi dell’associazione, e del relatore principale, sulla valorizzazione e la sensibilizzazione del ceto medio di fronte alle sfide e alle opportunità portate dalla globalizzazione.
Il relatore principale è stato Sergio Morisoli, economista ticinese di orientamento liberale e ora deputato cantonale per l’UDC. Nella propria relazione Morisoli ha lasciato intendere come una delle maggiori preoccupazioni della sua attività pubblica sia sempre stata la difesa di quella categoria di cittadini in cui si identifica l’uomo medio. Questo ceto, in effetti, rappresenta una fascia di popolazione oggi spesso dimenticata. Non c’è dubbio che essa sia stata la spina dorsale della società di tradizione europea fin dai tempi della Rivoluzione industriale, ma c’è da chiedersi se sia ancora così oggi, dinanzi allo sviluppo di uno Stato sociale che dissangua privati e imprese in virtù di una non meglio definita giustizia sociale. Il rischio più grande di fronte a cui si trova questo gruppo così numeroso, forse, è allora proprio la precarietà, generata in primo luogo dalle decisioni assunte dalle classi dirigenti del nostro tempo. Il relatore ha anche sottolineato a più riprese come il ceto medio sia una categoria decisamente difficile da individuare, dato che è arduo misurare l’effettivo benessere di una persona a partire dai dati macroeconomici.
Per questa ragione Morisoli ha sviluppato un modello che possa aiutare a identificare chi possa riconoscersi nel ceto medio, discriminato e dimenticato dagli aiuti sociali, che pure si reggono su entrate che provengono in larga misura proprio da questo ceto. Il Welfare Index da lui elaborato, in effetti, si propone di esaminare l’incidenza dell’attività pubblica nella qualità della vita che si possono permettere i cittadini del cantone. Ma questo indice non basta per definire l’identità e le condizioni dei singoli cittadini che fanno o non fanno parte di tale categoria. Al di là delle fasce di reddito che definiscono un gruppo di persone, infatti, la nostra società è anche e soprattutto composta dalla fedeltà a taluni valori ben precisi. E i valori che definiscono la borghesia sono gli stessi che, nel corso della modernità, hanno costruito e tenuto in piedi l’Occidente per come lo concepiamo oggi. Di conseguenza, al di là dei livelli di reddito, il ceto medio è composto soprattutto da quanti sono determinati a porre fiducia nel proprio lavoro e nella propria ambizione, allo scopo di proteggere sé e la propria famiglia.
Indubbiamente, questi valori occidentali sono oggi declinanti a causa di una vera crisi spirituale, oltre che dalle ovvie difficoltà materiali dei nostri giorni. La scristianizzazione dell’Europa e dell’America, ad opera di filosofie postmoderniste che rigettano i principi morali della tradizione occidentale, è solo una parte, benché importante, della dissoluzione che sta subendo il nostro mondo sotto i colpi della globalizzazione. La perdita di criteri oggettivi, come lo sono il timore verso Dio oppure la cura di una morale rigorosa, sta spingendo il cittadino moderno a venerare nuovi idoli. E oggi, più che mai, chi si pone come idolo da venerare è proprio lo Stato, con le sue promesse di salvezza e redenzione delle fasce più povere a scapito di chi, invece, è sulla carta troppo benestante per meritarsi di essere aiutato.