Il 26 giugno 2024 l’Istituto Liberale ha organizzato l’evento L’università in un mondo in trasformazione, in collaborazione con Students For Liberty Svizzera e LPU (Law and Politics in USI). La serata ha visto come protagonista Paolo Miccoli in quanto relatore principale, profondo esperto del mondo dell’università in trasformazione sotto la spinta della globalizzazione e delle innovazioni digitali. Il tema principale è stato quello della nascita di nuove forme di accademia che sfidano l’università tradizionale, spesso incancrenitasi in istituzioni troppo dipendenti dai poteri politici e dalle logiche di finanziamento a certi progetti di ricerca rispetto ad altri. Nonostante tutto questo, è chiaro che tra vent’anni le università saranno molto diverse, anche in ragione del fatto che la formazione di alto livello già ora interessa una larga quota di persone che sono da tempo nel mondo del lavoro (anche quarantenni e cinquantenni), che avvertono il bisogno di tenersi aggiornati e sviluppare nuove conoscenze.
Dopo una breve presentazione di Carlo Lottieri, presidente della sezione italofona dell’Istituto Liberale, ha preso la parola il relatore principale della serata: Paolo Miccoli, professore emerito in chirurgia all’Università di Pisa, ex presidente del consiglio direttivo dell’ANVUR, ma specialmente presidente di UniTed (Unione delle Università Telematiche). La prima riflessione della serata sono stati i profondi cambiamenti in campo tecnologico e antropologico che sono stati al massimo accelerati dalla pandemia, ma che hanno in realtà radici molto più profonde, e riguardano il rapporto specialmente dei nativi digitali con i mezzi di comunicazione telematici. Questi diventano al tempo stesso fonti di contatto con altre persone e con l’informazione e l’attualità. Ciò non può non trasformare a livello molto profondo la ricerca accademica, che è stata prima di tali innovazioni fossilizzata solamente su centri universitari fisici e stabiliti. Questa lunga tradizione in favore delle università tradizionali e questo loro status fisico permanente ha favorito una crescente relazione simbiotica tra i centri di ricerca e lo Stato come unica fonte di direzione, finanziamento e regolamentazione. Le nuove tecnologie lasciano però trasparire non solo il bisogno, ma anche la possibilità di reintrodurre un elemento di imprenditorialità nella ricerca che finalmente sappia riallineare l’accademia con le necessità della società civile.
Non si può trattare di queste apparenti contraddizioni senza riflettere sull’evoluzione negli ultimi decenni del valore stesso della laurea. Oggi il valore della laurea viene garantito fondamentalmente in tutti gli Stati del mondo dal suo valore legale. Il punto è che nella stragrande maggioranza dei casi, oggi, la laurea funziona come ascensore sociale e come discrimine di selezione unicamente in quei settori in cui il requisito di essersi formati in un’università tradizionale viene imposto come obbligatorio. In Italia, per esempio, è necessario essere laureati per intraprendere qualunque carriera pubblica. Dal punto di vista liberale, al contrario, fin dagli anni 1940 Einaudi aveva avanzato l’ipotesi di abolire il valore legale della laurea per stimolare la concorrenza nel campo delle certificazioni di formazione culturale, in tutte le nuove forme possibili e oggi in particolare rese possibili dalla digitalizzazione. Oltretutto, questo sistema di riconoscimento universitario crea una domanda ipertrofica di formazione superiore, generando numeri di studenti che si iscrivono all’università – spesso non per passione d’accademia ma proprio per accedere a lavori più remunerativi oltre le barriere normative – che le università tradizionali faticano a gestire. Questo genera nel migliore dei casi uno stress sulle infrastrutture dell’università, e nel peggiore un peggioramento della qualità stessa dell’istruzione a ragione di una diluizione del rapporto di per sé cruciale tra studente e professore.
Ora, il protagonista assoluto di questa trasformazione è stato senz’altro la didattica a distanza. Sebbene sia stata sperimentata nelle università in varie parti del mondo a partire dagli anni 2000, va da sé che la pandemia abbia portato per necessità una svolta sostanzialmente alle potenzialità sia tecnologiche che imprenditoriali di questo prezioso strumento. Questo ha aperto uno spiraglio per la crescita delle università telematiche che si fondano proprio sull’erogazione della didattica a distanza – modello che sicuramente senza la pandemia stessa non sarebbe mai stato adottato dalle università tradizionali. Quello che tuttavia distingue veramente questi nuovi modelli di accademia è l’identificazione di due nuovi target per le università telematiche: il lavoratore-studente e il così detto life-long learner. Rispettivamente, corrispondono a lavoratori adulti che vogliono, per aspirazioni personali o di carriera, riprendere in un secondo momento della loro vita e nel mezzo della loro carriera una disciplina di cui sono appassionati; e figure che, sempre per aspirazione personale o per esigenza professionale, hanno bisogno di continuare ad aggiornare le loro competenze per rimanere flessibili nel mondo del lavoro nel proprio ambito.
Le università tradizionali non possono per loro natura servire queste esigenze nuove e particolari della società odierna. Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto le università tradizionali, a differenza di quelle telematiche, sono fisiche e quindi richiedono una presenza costante o comunque molto ingombrante allo studente. Questa presenza è il più delle volte a tempo pieno, quindi incompatibile con uno sviluppo professionale parallelo, tant’è che le lauree classiche sono pensate esclusivamente come una preparazione alla carriera anziché un’integrazione o uno strumento aggiuntivo. Infine, vista l’alta istituzionalizzazione e regolamentazione dei normali percorsi di laurea, il contenuto nonché il formato dei corsi viene stabilito a monte (oggi a livello nazionale o anche europeo) in maniera strutturata e rigida. Ci sono moltissimi posti di lavoro oggi sul mercato del lavoro europeo che rimangono vuoti proprio perché non è possibile rintracciare le competenze giuste e aggiornate tra i neolaureati. Le università telematiche, al contrario, hanno la potenzialità di offrire corsi di laurea personalizzati dai docenti e modellati in pochissimo tempo sulle ultime novità in campo di competenze richieste dalle aziende. Senza considerare la capacità da parte delle università telematiche di raggiungere facilmente gli studenti a prescindere dalla loro posizione geografica, quindi senza richiedere sacrifici alle famiglie per poter riorientare la vita dello studente per diversi anni intorno ad un grande centro specifico.
Secondo studi ISTAT, la mobilità dei giovani per l’università è fortemente legata infatti al reddito familiare. Viene stimato che il 75% delle famiglie dal reddito inferiore a 15000€ possa mandare i figli a studiare al massimo a 85km rispetto al proprio luogo di domicilio; valore medio che sale a 160km per il 75% delle famiglie dal reddito superiore a 75000€. Una cifra peculiare della divisione tra università tradizionali e telematiche riguarda le diverse capacità di affrontare i problemi legati al tutoraggio. Nell’università telematica si stanno già sviluppando sistemi estremamente all’avanguardia di tutoraggio slegate da personale fisico e incarnate invece da sistemi di intelligenza artificiale, che hanno la flessibilità di poter personalizzarsi rispetto alle esigenze dello studente, nonché essere accessibili costantemente. I tutor IA, che per natura si confanno al formato delle università telematiche, sono oltretutto in grado di attingere in tempo reale a tutto il corpus sviluppato dalla ricerca dell’istituto universitario, laddove i tutor fisici, tradizionali sono ovviamente limitati dalle conoscenze, nonché dalla disponibilità e dalla capacità, del ricercatore (tipicamente inesperto e a inizio carriera) che viene assegnato in determinate finestre orarie allo studente.