Il 18 dicembre 2024 l’Istituto Liberale ha organizzato l’evento Psichiatria e libertà. La lezione di Thomas Szasz, in collaborazione con Students For Liberty Svizzera e LPU (Law and Politics in USI). La serata ha visto come protagonista Roberto Festa, filosofo della scienza, per presentare il suo ultimo volume recentemente edito da IBL Libri e dedicato a Thomas Szasz (1920-2012), originalissimo psichiatra e filosofo politico statunitense di origine ungherese. Il carattere degli scritti di Szasz sta nella riflessione polemica sulla proprietà di sé di ogni individuo, in contrasto con la psichiatria tradizionale che, appoggiata dalla politica, impone uno standard di sanità mentale sugli individui nella pratica del trattamento sanitario obbligatorio. Szasz andò addirittura oltre: la psichiatria istituzionale si sostanzia di trattamenti fittizi per malattie inesistenti, e compone semplicemente il pretesto con cui il governo invade la sfera intima degli individui nella persona dell’esperto. Questa visione è sfociata in una rigorosa visione libertaria in netta opposizione alla realtà politica dell’Ungheria comunista da cui Szasz ha poi dovuto rifuggire.
Roberto Festa, filosofo della scienza e per anni professore ordinario all’Università di Trieste, ha offerto una prospettiva sull’interessantissima figura di Szasz nel suo libro. Szasz è stato, oltre che medico e psichiatra praticante, un filosofo politico impegnato nella difesa della libertà contro ogni forma di moralismo e paternalismo. In Europa fu spesso percepito come un “radicale” o un “sovversivo”, accostato ai marxisti e postmarxisti che dominano tuttora l’ambiente accademico. In realtà, Szasz era un liberale classico rigoroso: un libertario contrario a ogni violazione della proprietà privata e a qualsiasi limitazione del diritto di iniziativa economica e contrattuale. Nella sua analisi, Festa ha esplorato molti aspetti del pensiero dello studioso americano, dai suoi lavori sulla follia alle sue opinioni sulla droga, fino ai suoi più recenti scritti di taglio politico-filosofico. Szasz sosteneva che ogni individuo è proprietario di sé stesso, principio che vieta di aggredire gli altri. Da questo presupposto derivano implicazioni di grande rilevanza. Le pratiche tradizionali della psichiatria sono infatti spesso fondate su trattamenti coercitivi per patologie che Szasz definì come inesistenti. Questo sfociò in una strenua difesa dei diritti dei pazienti, opponendosi a reclusioni forzate e TSO. In anticipo sui tempi, evidenziò come lo Stato possa trasformarsi in un’entità “terapeutica” per espandere il proprio controllo sulla sfera più intima delle persone. Se Hobbes giustificava il dominio sovrano con la necessità di proteggerci dalla violenza altrui, lo Stato moderno si presenta come un garante della salute, offrendoci protezione dai mali della vita in cambio della nostra sottomissione.
Per Szasz, problematicamente, il concetto stesso di malattia mentale su cui si fonda gran parte di tale narrazione è discutibile. Infatti, la così detta “psicopatologia” o si tratta di una malattia fisica, che coinvolge il corpo e il sistema nervoso, oppure si tratta di comportamenti e atteggiamenti eccentrici che, se non sfociano in crimini, non devono essere soggetti al controllo pubblico. La posizione politica di Szasz era netta: i “matti” devono essere rispettati per il loro modo peculiare di vivere, senza subire coercizioni, nei limiti della libertà altrui. Allo stesso tempo, questo rispetto implica anche la piena responsabilità dei loro atti: chi commette un’aggressione, anche se psicotico, non può essere giustificato o perdonato in virtù della sua condizione. Su queste basi, Szasz sosteneva il diritto di accesso ai farmaci senza prescrizione medica e la liberalizzazione delle droghe. Riprendendo la distinzione classica tra “vizi” e “crimini” (come insegnato da Lysander Spooner), affermava che danneggiare sé stessi è un fatto personale, mentre violare i diritti altrui è tutt’altra questione. Nella riflessione di Szasz emerge chiaramente come, nell’era del predominio statale, anche la medicina sia stata strumentalizzata. Il potere politico ha sfruttato l’autorità dei medici, capaci di influire profondamente sulla vita delle persone, per rafforzare il proprio controllo attraverso la politicizzazione della salute.
Secondo Festa, Szasz ci invita a osservare la realtà per ciò che è. Soprattutto, ci richiama al rispetto dei diritti naturali di ogni individuo, che non possono essere violati per nessuna ragione. Tossicodipendenti e schizofrenici non perdono i loro diritti a causa della loro condizione, e difendere la loro libertà equivale a difendere la nostra. Nell’età del trionfo dello Stato la medicina non sia stata certo risparmiata. Abbiamo potuto vederlo largamente nella pericolosa espansione del potere politico a causa di un’emergenza medica come la pandemia da Covid. In tale occasione, per esempio, il potere politico ha compreso che i medici godono di una riconosciuta autorità, poiché dispongono in larga misura della nostra vita, e di conseguenza il potere può trarre un considerevole beneficio della politicizzazione di questo ambito. Questa tecnocratizzazione della politica è precisamente ciò contro cui Szasz ha provato a metterci in guardia. La sua prospettiva rimane dunque fondamentale per riflettere sulle vere, profonde implicazioni della proprietà di sé di cui gode e dovrebbe godere ciascuno di noi.