Il recente scandalo di Cambridge Analytica ha posto all’attenzione generale il tema dei cosiddetti “big data”, ossia di quell’insieme d’informazioni (spesso tra loro molto diverse) che le nuove tecnologie dell’era digitale riescono a gestire e coordinare, facendone strumenti assai efficaci in campo commerciale e politico. Sul tema c’è grande apprensione anche perché è indubbio che nell’era del digitale siano emerse possibilità inedite di violare lo spazio altrui.
Tutto questo ha messo molti sull’allerta e la regolazione legislativa, in vari Paesi, è stata fortemente condizionata da ciò. Spesso non si coglie, in effetti, la differenza tra la doverosa protezione della sfera personale e quindi della proprietà dinanzi a invasioni esterne — si pensi agli hacker — e l’idea che si debba pure impedire (regolare, controllare, limitare) la stessa creazione e gestione di “depositi di informazioni”. Quando in effetti i dati sono ottenuti legittimamente, l’abuso non è nel possesso delle conoscenze, ma nella pretesa governativa di mettere sotto controllo tutto ciò: come se il semplice possesso configurasse già una forma di reato e, quindi, come se vi fosse una sorta di presunzione di colpevolezza. Se si dispone di informazioni acquisite senza avere violato alcun diritto, perché mai qualcuno (il potere pubblico) dovrebbe invadere la mia privacy e pretendere da me una serie di comportamenti predefiniti volti a prevenire abusi del tutto eventuali?
Da sempre, essere attivi sul mercato esige una conoscenza degli altri, perché lavorare significa mettersi al servizio del pubblico e quindi “intuirne” (ma anche conoscerne) le esigenze. Il bravo barista che serve un whiskey con ghiaccio a chi gli chiede “Il solito!” può farlo perché, nel corso del tempo, ha imparato a distinguere gli avventori e ne ricorda i gusti. Ostacolare l’acquisizione e l’elaborazione di tali conoscenze, sotto forma di informazioni, non soltanto ostacola lo sviluppo delle potenzialità umane, ma configura un’azione illiberale.
Leggere il rapporto:
“Big data”, imprenditoria e libera iniziativa
(5 pagine, PDF)