Il 13 aprile 2022 l’Istituto Liberale ha organizzato il suo primo evento in presenza in italiano post-Covid, sul tema “Nuovi scenari: quale futuro per l’Europa?”, in collaborazione con l’associazione studentesca LPU (Law and Politics in USI), attiva all’Università di Lugano, e con Students for Liberty Svizzera. Tema della serata, che ha visto protagonista Marco Bassani, è stata la discussione sulla storia geopolitica e politica dell’Europa, come la sua tradizione è cambiata con l’avvento dello Stato moderno, e che cosa questi mutamenti significano per il suo rapporto col futuro e, in particolare, con quell’unicum rappresentato dalla Svizzera. Quale sarà il destino dell’Unione Europea, che cerca di dare uno strappo al suo passato decentralizzato e localista, di cui la Confederazione Elvetica rimane l’ultimo curioso baluardo?
Ha aperto la serata Carlo Lottieri, presidente della sezione italofona dell’Istituto Liberale, che ha introdotto il quadro in cui si va ad inserire l’intervento del relatore. L’Unione Europea è un’istituzione sovranazionale che sostanzialmente cerca di consolidare e imporre un nuovo modo di fare politica, nato con la modernità, che è andato gradualmente a soppiantare l’ordine spontaneo di istituzioni libere e in concorrenza tra di loro che hanno sempre battuto il frammentato territorio del continente fin dalla dissoluzione dell’Impero Romano.
La parola è poi passata a Luigi Marco Bassani, storico delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano e professore di filosofia politica presso l’Istituto di Studi Filosofici di Lugano. La sua area di competenza principale è la storia politica degli Stati Uniti, dov’è nato e cresciuto, e di come la Rivoluzione Americana si sia configurata come un tentativo di restaurare la tradizione politica autenticamente europea di decentralizzazione e localismo delle istituzioni contro all’estensione tentacolare del nuovo modello statale moderno rappresentato dalla deriva delle monarchie assolute sei-settecentesche. Il suo lavoro di storico delle dottrine politiche, sotto questa luce, si è incentrato anche sul ruolo della Svizzera come capsula temporale per ricordare quelle alternative rimaste oggi allo Stato moderno europeo, sopravvissuta alla caduta di realtà come la Lega Anseatica o l’Impero Asburgico.
La caratteristica peculiare dello Stato moderno è la nascita di un governo dai poteri assoluti, in grado di eliminare qualsiasi sacca di potere intermedia tra il sovrano e il cittadino: il Seicento ha visto la progressiva disfatta di principi, nobili, vassalli, vescovi. Questa clausola di supremazia si applica in maniera esclusiva su un territorio statale continuativo e ben definito. La codificazione ideologica di queste nuove istituzioni è figlia dell’Illuminismo, di Kant e Rousseau primi fra tutti, che hanno visto nella centralizzazione del potere e del comando di “sovrani illuminati” l’imposizione di un impero della legge che razionalizzasse la vita dei cittadini e li rendesse finalmente tutti liberi ed uguali. La norma della così detta “entropia feudale” del Medioevo, tuttavia, era ben altra: le comunità potevano aggregarsi liberamente e in maniera fluida e decentralizzata, in istituzioni sparse e deterritorializzate plasmate dai rapporti di potere interne ai liberi individui che le componevano.
Così, fino all’era dell’Illuminismo convivevano monarchi assoluti, comuni medievali, la Lega Anseatica, città-stato, confederazioni, libere giurisdizioni sovraterritoriali, culturalmente uniti dal dominio deterritorializzato e capillare della Chiesa. La prima volontà di imporre il modello statale moderno su tutto il continente è stato rappresentato dal tentativo di Napoleone di parificare tutte le istituzioni d’Europa esportando gli ideali della Rivoluzione Francese. Questo tentativo è fallito così come l’ambizione successiva di Hitler di conquistare l’intero continente. Questo lascia ben sperare che l’ennesimo sforzo di soggiogare l’intero continente sotto un unico sistema, ovvero proprio l’Unione Europea, sia destinato a fallire sotto il peso della tradizione politica pluralista che ci ha caratterizzato, di cui la Svizzera, appunto, rimane l’unico baluardo.
La Svizzera rappresenta molte caratteristiche istituzionali che sono state eliminate con lo Stato moderno europeo e che sono, infatti, incompatibili col progetto dell’Unione Europea. La Confederazione è composta da 26 comunità politiche semi-indipendenti per cui vige il così detto “principio di sussidiarietà”: non è il governo centrale a delegare a ciascun Cantone il proprio potere politico, ma sono al contrario i Cantoni, sovrani sui propri cittadini, a delegare al governo centrale unicamente quei compiti dov’è necessaria una coordinazione di livello più alto. Il focus della politica rimane la risoluzioni di problemi pratici e concreti da parte degli individui particolari che ne vengono coinvolti, così come testimoniato anche dalla tradizione democratica diretta elvetica. Anche la componente territoriale è decentralizzata, come testimoniano diversi Cantoni dove singoli comuni hanno avuto la facoltà di secedere dalla propria comunità per entrare sotto altre giurisdizioni, creando cartine a macchie di leopardo che sono trattate altrove in Europa come crisi internazionali.
Un sistema federale, multi-livello, che cerca di intersecare diversi poteri su scala locale e globale è un’istituzione che viene modellata sulla complessità della realtà stessa. Al contrario, il progetto centralista dello Stato moderno prima e dell’Unione Europea, che cerca sostanzialmente di riprodurlo a livello continentale, poi è un’enorme semplificazione dei rapporti tra i cittadini all’interno della comunità. Qual è dunque il futuro di questo tentativo di astrarre l’essenza della politica per creare un’istituzione minimalista unica che sottoponga chiunque in Europa ad un unico sistema? Questo progetto sovranazionale è nato in sostanza, dunque, per cercare di far sopravvivere gli Stati nazionali europei alla crisi statale rappresentata dalla globalizzazione e dalla Guerra Fredda.
La coordinazione europea si sta rivelando molto più complessa del previsto da moltissimi punti di vista: dalla politica estera comunitaria, alla politica interna, all’eterogeneità dei sistemi fiscali, alla gestione della moneta unica e delle crisi locali che finiscono per impattare tutti gli Stati membri. Si deve imputare questa instabilità cronica al progetto unitario stesso? Il successo e la stabilità proverbiale del modello svizzero, che è in grado di mantenere con prosperità crescente le sue caratteristiche peculiari e controcorrente, sembra indicare una risposta positiva. Del resto, conclude il relatore, è una mistificazione pretendere di poter riunire sotto un unico sistema gli interessi, le peculiarità, le situazionalità di diverse comunità politiche e di mezzo miliardo di persone inseguendo il mito della centralizzazione e di una direzione unica e razionale della società.