Il 19 ottobre 2022 l’Istituto Liberale ha organizzato un evento in presenza, all’Università della Svizzera Italiana di Lugano, sul tema “Capitalism: The New Ideal. The Philosophy of Capitalism”, in collaborazione con le associazioni studentesche LPU (Law and Politics in USI), Students for Liberty Svizzera, Ratio e USInternational. Tema della serata è stata la discussione dei fondamenti filosofici e ideologici, nonché dei valori etici, alla base del sistema sociale del capitalismo. Com’è possibile che l’interazione di più individui che perseguono il proprio interesse porti al benessere di tutti? E perché la società è così avversa al capitalismo se ha rappresentato il più grande miglioramento delle condizioni dell’umanità dalla nascita dell’uomo? È interessante notare, soprattutto, la differenza delle giustificazioni per l’ordine di mercato e il capitalismo tra la sfera culturale americana e la sfera culturale europea.
Ha aperto la serata Paolo Pamini, coordinatore della sezione italofona dell’Istituto Liberale, che ha introdotto il quadro in cui si va a inserire l’intervento del relatore. Il termine “capitalismo” è sfruttatissimo all’interno del dibattito politico, in entrambe le direzioni. Partendo dall’Europa, dopo la Rivoluzione Industriale il libero mercato fino a raggiungere virtualmente ogni angolo del mondo. Dall’altra parte, è sempre più accettata la posizione che accrediterebbe al capitalismo stesso la colpa di ogni male della società: dalle discriminazioni alle ineguaglianze, alle ingiustizie sociali. Dove sta allora la vera natura del capitalismo? Cos’è e su quali ideali poggia? E, di conseguenza, dove possiamo tracciare il confine preciso oltre cui lo Stato non dovrebbe arrogarsi il diritto di entrare e interferire col libero scambio all’interno della società di mercato?
Il primo relatore della serata è stato Yaron Brook, presidente dell’Ayn Rand Institute con sede a Santa Ana (California, USA), nonché divulgatore e attivista nell’ambito della filosofia oggettivista, ispirata ad Ayn Rand. Il capitalismo, dal punto di vista naturale, è un mistero. Nonostante ciò, è stato un successo ovunque sia stato applicato e precisamente nella misura in cui è stato applicato. Più ci si avvicina all’ideale di un mercato completamente libero, di una società in cui gli individui siano lasciati liberi di scegliere e collaborare tra loro, in cui di conseguenza il governo viene estromesso dalla società civile, più la popolazione diventa prosperosa e la qualità di vita delle persone si innalza. L’America Latina ne è stata il laboratorio perfetto durante la Guerra Fredda. Si è passata dal Venezuela come stato più ricco del continente e dal Cile come stato più povero, all’esatto contrario in pochi decenni. L’unica differenza? L’applicazione del sistema capitalista invece di un sistema di economia pianificata.
La domanda è: come mai, nonostante queste prove dell’efficienza del libero mercato nella storia e nel mondo contemporaneo, l’opinione pubblica sta diventando sempre più avversa all’ideale del capitalismo? Perché la politica si fa sempre più collettivista e lontana dall’individualismo, che pure ha assicurato tanta prosperità all’umanità? Parte della ragione sta nell’ignoranza della maggior parte delle persone delle conseguenze di certe pretese politiche; una parte sta nell’ignoranza della storia. Ovvero: è posibile ignorare che Hong Kong, solo grazie all’introduzione dell’economia di mercato, è passata in soli 75 anni dall’essere un agglomerato di villaggi di pescatori a una metropoli contemporanea da 1.5 milioni di persone? Eppure, per restare in Cina, la popolazione cinese sta accettando passivamente il restringimento progressivo delle proprie libertà civili sotto Xi Jin Ping, per la prima volta dai tempi di Deng, e non a caso questo percorso coincide con la recente chiusura di tutti i think tank e le associazioni vicine al libero mercato sul suolo cinese.
La ragione profonda di questa diffidenza verso il capitalismo ha un fondamento morale. Le persone esitano a pensare che sia giusto che gli individui siano mossi, nel mercato come nella vita in generale, da motivazioni prettamente egoistiche nelle loro azioni. Steve Jobs ha creato l’iPhone per trarne profitto — non perché voleva realizzare qualcosa di bello, di prezioso, oppure per fornire un mezzo di telecomunicazione a sconosciuti. Il capitalismo funziona precisamente perché è la realizzazione compiuta delle tendenze naturali degli esseri umani. Qual è la professione, del resto, che ha portato il maggior beneficio materiale all’umanità nella sua storia? Quella dell’imprenditore. Senza l’imprenditoria, senza uomini che agiscono in società per affermare i propri interessi, non avremmo potuto assistere ai grandi balzi in avanti a cui l’umanità ha assistito in quanto ad aspettativa di vita, prosperità economica e qualità della vita. Il merito non è della carità o dell’altruismo: è stato frutto dello sforzo di ciascun individuo nel trarre profitto per sé dalle proprie azioni.
Nonostante tutto, la nostra cultura contemporanea sta diventando sempre più allergica alla figura dell’imprenditore, e precisamente perché rappresenta una persona egoista. In realtà, se qualcuno fa successo in società è inevitabilmente perché sta aiutando gli altri in procinto di fare il proprio interesse: ogni miliardario ha reso il mondo un posto migliore, creando un qualcosa di cui hanno avuto bisogno innumerevoli persone e grazie al quale la loro vita è stata resa un po’ migliore. Cambiare l’economia di una società è un compito relativamente facile: la sfida è cambiare il codice morale di una società. Questo è stato precisamente lo sforzo filosofico di Ayn Rand. Sovvertendo l’etica dei secoli precedenti, il suo pensiero ha riesumato la morale aristotelica per riportare in auge l’idea che il bene dell’uomo è la ricerca della felicità, che si ottiene attraverso la realizzazione del proprio interesse individuale attraverso gli sforzi e i prodotti della propria mente.
Il secondo relatore della serata è stato Giovanni Barone Adesi, economista e professore di finanza presso l’Università della Svizzera Italiana di Lugano. Nel suo commento alla relazione di Yaron Brook egli ha posto l’accento sul diverso modo in cui la cultura americana, tradizionalmente ispirata alla figura di Ayn Rand e dell’imprenditore come eroe morale, e la cultura europea hanno fondato l’ordine del capitalismo. La storia intellettuale del libero mercato in Europa è stata più intricata e s’è evoluta attraverso pensatori come Hobbes, Adam Smith e John Locke. Laddove la prospettiva americana vede il governo come un agente esterno che svolge alcune funzioni nella società, ma il cui potere dev’essere cautamente limitato e controbilanciato (così che non interferisca con tutti gli altri aspetti della civiltà), l’europeo ha una visione più olistica del ruolo dello Stato. L’accento sta su una visione normativa della società umana, in cui il governo è visto quale compimento dell’ordine sociale, con il compito di regolare quegli aspetti che richiedono uno sforzo e un consenso collettivi.
Questo si riflette su un diverso fondamento filosofico per giustificare l’ordine sociale capitalista che tanta prosperità ha portato all’Occidente e non solo. L’intellettuale americano guarda alla coercizione come uno strumento a disposizione della propria comunità per risolvere problemi concreti, e grande attenzione viene posta all’atto di impedire strutturalmente che lo Stato possa compromettere la libertà dell’individuo. Questo è possibile in quanto la libertà dell’individuo è vista come una realtà più fondamentale di quella della comunità in cui vive, ed è vista come un ingrediente portante del proprio carattere morale. Al contrario, l’intellettuale europeo, caratterizzato dalla mentalità dell’Illuminismo, deve arrivare a giustificare il capitalismo e il suo individualismo di fondo muovendo dalla prospettiva opposta. Il governo è l’espressione compiuta della società civile, che permette a ogni individuo di essere libero dall’invasione di campo dell’altro, ed è compito del liberale europeo trovare un modo di organizzare la società lasciando più spazio, in un’ottica di sussidiarietà, all’ordine spontaneo civile rispetto alla pianificazione statale dall’alto.