Nel corso degli ultimi anni, anche a livello accademico, s’è assistito al ritorno di logiche tecnocratiche. Figure come Mario Monti oppure Mario Draghi, in Italia, ma lo stesso Emmanuel Macron, in Francia, si sono autorappresentati non già come politici con un preciso profilo ideologico e ideale, ma come persone che erano legittimate a governare i loro simili sulla base delle conoscenze, dell’esperienza, del curriculum. Si tratta di una visione abbastanza risibile, che riattualizza vecchie illusioni “scientiste” del positivismo di secondo Ottocento, basate sull’idea che si possa gestire un’intera società un po’ come si coltiva un campo o ci si occupa di un allevamento di polli.
Per giunta, bisogna comprendere una volta per tutte che i politici sono strutturalmente ignoranti; e non soltanto nel senso che molti di loro non saprebbero indicare sulla cartina geografica dove si trova lo Sri Lanka oppure non hanno la minima idea dell’anno in cui si aprì il Congresso di Vienna o iniziò la prima guerra mondiale. Al di là di tutto questo, i politici sono ignoranti anche quando hanno alle spalle un ottimo curriculum scolastico e continuano a leggere e studiare.
L’ignoranza di quanti di governano è strutturale ed è la diretta conseguenza del fatto che un parlamentare è costretto a esprimersi su un ventaglio larghissimo di questioni: dalla bioetica alla politica monetaria, dalla politica di sicurezza alle questioni del sistema carcerario, dal trasporto pubblico all’istruzione, dalla sanità alla previdenza, e via dicendo. Nel momento in cui i poteri pubblici si sono dilatati in ogni direzione, è diventato umanamente impossibile – per qualsiasi soggetto umano, e quindi a maggior ragione per chi (professionalmente) è impegnato soprattutto a contrastare le altre formazioni e a imporsi sui propri compagni di partito – riuscire a esprimere giudizi ponderati e informati.
Ovviamente ogni politico può contare sull’appoggio di specialisti. Ad esempio, negli ordinamenti parlamentari della tradizione europea la costruzione del bilancio (un’impresa non da poco, considerando la quantità di risorse che ogni Stato sottrae alla società e spende) è per lo più affidata a professionisti molto preparati in questo campo: esperti in ragioneria, diritto tributario, scienza delle finanze e via dicendo. Questo però ci dice due cose: che gli eletti finiscono per contare meno di quello che si crede; e che in fondo tutto ciò conferma quell’ignoranza strutturale già prima ricordata.
Se i politici sanno ben poco, che dire degli elettori? Pure questi ultimi si trovano in una situazione difficile. Quando ci si reca alle urne, in effetti, il voto che si esprime ha implicazioni in ogni direzione, ma quasi nessuno possiede tutte le conoscenze che sarebbero indispensabili a decidere in modo corretto. Per giunta, anche un genio rinascimentale che fosse grande esperto in economia, relazioni internazionali, diritto privato e mille altre cose, per votare in modo efficace dovrebbe studiare in profondità i programmi dei vari partiti e perfino il profilo di ogni candidato. E alla fine? Tutti quegli sforzi produrrebbero un solo voto, ma mai un’elezione – entro una realtà non piccolissima – è stata decisa da quello che sceglie una singola persona… Cosa ne discende? Molti studiosi, ormai da decenni, hanno elaborato la teoria della “ignoranza razionale” (il termine fu coniato da Anthony Downs), a indicare che dato l’alto sforzo per essere informati e i limitatissimi risultati che questo produrrebbe inducono l’elettore a non informarsi quasi per nulla. Sapere ben poco, in questo senso, è del tutto razionale.
Come si può uscire da tale situazione, ora che si è compreso che larga parte del processo politico (dal voto del cittadino fino a quello del parlamentare) si basa su una conoscenza assai limitata della realtà? La soluzione sarebbe semplice, perché le cose si presenterebbero in modo assai diverso se lo Stato non s’occupasse di tutti quegli ambiti che, soprattutto nel Novecento, ha illegittimamente invaso. Questa espansione dei poteri pubblici ha non soltanto limitato le libertà individuali, ma ha pure comportato il trionfo dell’ignoranza. Ci sarebbe dunque un modo per ridare senso a tanti ambiti della nostra esistenza, oggi spesso abbandonati alla gestione di persone incapaci di formulare opinioni sensate. Ma è ovvio che a tutto la maggior parte dei politici è disposta, meno che a veder ridimensionato il proprio potere sui propri simili.
(Articolo pubblicato originariamente su Il Mattino della Domenica, 11 febbraio 2024)
Carlo Lottieri è il presidente della sezione italofona dell’Istituto Liberale